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I pranzi della domenica

Le ricette di questo post sono Melanzane speziate del Maharastra ripieneBatata Vada.

Una domenica mi ritrovai un bellissimo attico, locato in una traversa di University Road. La casa era moderna e occidentale. Non la vidi tutta, mi soffermai al soggiorno, con un bellissimo tavolo con piano in vetro, uno schermo 22 pollici e un divano in pelle marrone stile British e alla cucina, completamente in acciaio, con forno da incasso e dotata di ogni strumento possibile, compreso il tritarifiuti nel lavandino e il depuratore dell’acqua. Sicuramente era ben diverso dalla quello a cui ero abituata io, con un’unica piastra elettrica e due topolini che vivevano dietro al frigo. La signora che mi aveva invitato quella calda domenica di marzo nella sua casa, era un’indiana benestante che avevo conosciuto durante il corso di cucina internazionale che stavo frequentando. Era indubbiamente benestante. Il corso era della durata di tre settimane e costava 9000 rupie (128 euro), circa quanto lo stipendio pagato da un’azienda indiana media. Il suo sorriso paffuto era contagiante e i suoi kurta dai colori sgargianti sempre all’ultima moda. Per tre giorni alla settimana andavo sotto casa sua e lei mi accompagnava al corso. Si era interessata a me con l’affetto di una madre. Mi consigliava su come muovermi in India, sulle relazioni, sul futuro. Mi raccontò la sua vita. Il figlio perso in un incidente e il dolore immenso che ne seguì. Mentre parlava ogni tanto si girava a guardarmi. Mi sorrideva e mi rassicurava. E poi continuava a guidare. Quella domenica mi invitò a casa sua per insegnarmi a cucinare del cibo indiano. Le avevo espresso i miei dubbi sulla loro cucina. Non penso sia una cucina alla quale abituarsi così facilmente. Almeno per me italiana. Troppi sapori. Troppi miscugli. Troppo ricca. Troppo esagerata. Lei voleva dimostrarmi il contrario. Voleva che insieme preparassimo un pranzo indiano molto leggero e poco speziato. Così fu. Per prima cosa preparammo delle roti, il classico pane indiano a basso contenuto calorico. Poi una zuppa di dal, lenticchie. Le uniche spezie erano dei semi di cumino e del peperoncino. Le piccole melanzane indiane le cuocemmo con della salsa di pomodoro e della curcuma. E per finire l’immancabile basmati cotto nella pentola a pressione. Il dolce non era in linea con la leggerezza del pranzo. Ma nessun dolce indiano potrebbe esserne adeguato, dal momento che è composto almeno dal 70% di zuccheri. Il diabete è la quarta principale causa di morte del paese.
Il pranzo non poteva definirsi piccante e i piatti erano estremamente semplici. Allo stesso tempo, nonostante l’uso irrisorio delle spezie, mantenevano la loro identità indiana. Quell’odore di India che rimane appiccicato a qualsiasi cosa ci si trovi dentro. Forse è proprio quell’odore a rendere quei piatti per me indefinibili. Quell’odore che riempie ogni ingrediente e per quanto semplice sia lo carica fino all’esasperazione. Non esiste nulla di semplice in India. Tutto tende all’eccesso.

Melanzane speziate del Maharastra ripiene
Ingredienti:

  • 500gr piccole melanzane rotonde spuntate
  • 85gr cocco fresco grattuggiato
  • 4 cucchiai di semi di sesamo
  • 2 cucchiaini di semi di coriandolo
  • 2 cucchiaini e mezzo di semi di cumino
  • mezzo cucchiaino di tamarindo in polvere
  • 120gr di arachidi macinate
  • 1 cucchiaio e mezzo di jaggery o di zucchero di canna soffice integrale
  • 2 cucchiaini di pasta di zenzero
  • 1 cucchiaino e mezzo di pasta di aglio
  • 1 cucchiaino di peperoncino in polvere
  • 2 cucchiai di garam masala
  • 2 cucchiai d’olio
  • 1 cucchiaino di semi di cumino
  • un pizzico di assafetida
  • 1 cucchiaino di curcuma macinata
  • sale

Applicare dei tagli verticali e orizzontali alle melanzane mantenendo intatto il picciolo, quindi sciacquarle in acqua salata e metterle da parte.
In una padella, cuocere il cocco, i semi di sesamo, quelli di coriandolo e quelli di cumino a fiamma media per un minuto o finché sono leggermente dorati. Trasferire in un frullatore o un mortaio e aggiungere il tamarindo, le arachidi macinate, il jaggery o lo zucchero, le paste di zenzero e aglio, il peperoncino in polvere e il garam masala. Salare e e frullare o pestare con un pestello per ottenere una pasta. Riempire le melanzane con questa pasta.
Scaldare a fiamma alta l’olio in una grossa padella a fondo pesante, quindi ridurre il fuoco, aggiungere i semi di cumino e soffriggere per un minuto circa o finché i semi iniziano a sfrigolare. Unire l’assafetida, la curcuma e le melanzane ripiene, aumentare la fiamma e cuocere a fiamma alta per 2 minuti circa.

L’assafetida, nota anche come sterco di diavolo, è ottenuta dalla linfa di una pianta. Può avere consistenza di una resina ambrata oppure essere ridotta in polvere. Con la cottura perde il caratteristico odore forte e sgradevole e acquisisce un piacevole aroma di cipolla e aglio. Difficilmente reperibile nei supermercati ma anche negli alimentari etnici si trova più facilmente in un’erboristeria ben fornita

Diametralmente opposto era il cibo che distribuiva la mensa dell’università. Un capannone di lamiere situato nel mezzo di una foresta tropicale. C’era sempre ombra. Pochi i tavoli bianchi di plastica dove sedersi. Ci si poteva appoggiare su tronchi di alberi segati o su delle piccole balaustre. Dietro ai due banconi, uno per il chai, il classico thè indiano con latte e masala, e l’altro per il cibo, si affaccendavano in media tre uomini, molto spesso sudati e con i vestiti sporchi di cibo. Il menù era quasi sempre lo stesso. Idli con salsa di cocco e di mango. Bread patties, dei triangoli di pane impastellato e fritto ripieno di patate e spezie, servito con una sottospecie di ketchup dal colore rosso trasparente. Vada, delle piccole ciambelle di patate e lenticchie fritte. Sabudana Khichdi, perle di sago con patate, arachidi e poche spezie. Principalmente era cibo da colazione. Le cantine erano diverse e con menù diversi. Questa però aveva un fascino particolare. Probabilmente perché aveva tutto quel fascino esotico che un occidentale cerca durante un soggiorno in India. E del quale si pente subito dopo averlo tastato. Ci misi del tempo prima di abituarmi a mangiare in quella squallida capanna. Gli uomini prendevano in cibo direttamente con le mani e lo appoggiavano con molta poca grazia di piatti di alluminio non proprio brillanti. Non mi sono mai avvicinata alle posate, sciacquate con malevolenza in una bacinella piena d’acqua stagna e sapone. Ogni tanto sulla strada si affacciava una mucca e più raramente uno scimpanzé. Non mi immaginavo così il più grande campus dell’Asia. Ma dopo averci fatto l’abitudine devo dire che era diventato per me un posto accogliente e rilassante.

Batata Vada
Ingredienti:

  • 500 gr patate con bucce
  • 6 cucchiai di olio
  • 2 cucchiai e mezzo di pasta di aglio
  • 2 cucchiai e mezzo di pasta di zenzero
  • 1 cucchiaino e mezzo di pasta di peperoncino verde
  • un pizzico di assafetida
  • 1 cucchiaino scarso di curcuma macinata
  • 2 cucchiaini e mezzo di succo di limone
  • 2 cucchiai di foglie di coriandolo tritato
  • olio per friggere
  • saleper la pastella:

     

  • 150 gr farina di ceci
  • 1 cucchiaino e mezzo di cumino macinato

Cuocere le patate in una pentola di acqua bollente per 20 minuti circa o finché sono tenere, quindi scolare e lasciar raffreddare. Una volta fredde, pelare le patate, rimetterle nella pentola e schiacciarle.
Scaldare l’olio in una padella, aggiungere la pasta d’aglio e soffriggere per 2 minuti circa. Aggiungere gli ingredienti rimanenti, tranne l’olio per la frittura, e cuocere per altri 2 minuti. Togliere la padella dal fuoco, incorporare le patate schiacciate, quindi dividere il composto in 12 polpettine della dimensione di una noce.
In una ciotola mischiare la farina di ceci e il cumino, aggiungendo acqua per formare una pastella liquida.
Scaldare olio a sufficienza per friggere in un kadhai o in una padella a fondo pesante a 180°C o finché un dado di pane non scurisce in 30 secondi. Immergere le polpette nella pastella e poi nell’olio caldo. Friggere finché sono dorate, quindi scolare con una schiumarola e far asciugare su carta da cucina. Procedere in serie per cuocere tutte le altre polpette.

Il mio compleanno lo festeggiammo lì. Era marzo, l’inizio della primavera. Era caldo. Organizzammo un picnic. Seduti sul verde di uno del prati del campus e avvolti dai raggi del sole pranzammo. Stavolta mangiammo cibo prettamente europeo. Erano già diversi mesi che avevamo a che fare con cibo indiano. Era anche meritato. Fu una di quelle bellissime giornate dove è solo il sole a riempire la tua mente e la vita quotidiana è tenuta a distanza da quell’attimo.
Dopo un lauto pranzo da campo, ci spostammo in quello che era stato il paradiso di noi italiani a Pune. Dove l’espresso e il cappuccino esistono. Il cafè Peter Donuts è un locale grande e pulito sopra una affollata pompa di benzina in Aundh. E’ gestito da coreani, gioviali e gentili, e tutto è veramente perfetto e in ordine. La mattina non c’è mai nessuno. Gli indiani non fanno colazione con espresso e ciambella. E’ il luogo ideale per fare colazione se non si fa caso a spendere tre volte di più di quello che si spende per pranzo.
Nel pomeriggio si riempie di gente del luogo che beve frullati o ice tea e mangia ciambelle. L’ambiente è più caotico, ma rimane pur sempre piacevole. Io sono sempre stata un’assidua frequentatrice mattutina.
Quel pomeriggio invece era diventato una succursale di koreatown. Forse una riunione di famiglia. Conquistammo l’unico tavolo libero per concludere la giornata. 

Oggi voglio essere nostalgica. Mi manca il Peter Donuts con suo aroma di cafe e il suo sapore di pulito. Mi manca quel pattice sudicio e piccante. Mi manca la gentilezza delle persone che mi hanno accolta nelle loro case. Nonostante i suoi eccessi, mi manca la semplicità dell’India. 

Le ricette di questo post sono Melanzane speziate del Maharastra ripiene e Batata Vada.

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